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sabato 2 maggio 2009

SI STA PER CHIUDERE IL BUCO NELL'OZONO???


ROMA - Il buco nell'ozono si va richiudendo. Forse. Ma sarà un bene? Sulla questione si stanno interrogando scienziati di mezzo mondo. Con l'obiettivo di capire se il "rattoppo" nell'atmosfera provocherà conseguenze negative o positive sul riscaldamento globale.

Del buco nell'ozono si parlò molto - e con grande preoccupazione - negli anni '80 e '90, poi il problema è passato quasi nel dimenticatoio. Eppure ancora durante l'inverno australe di 3 anni fa aveva raggiunto il record per dimensioni (circa 9 volte la superficie dell'Italia) e durante l'ultimo inverno era solo di poco più piccolo (25 milioni di km/quadrati contro i 27 del 2006-07) e aveva anche raggiunto i minimi valori di densità presenti sull'Antartide. Nell'ultimo decennio poi si è registrata anche una diminuzione dell'ozono a latitudini inferiori a quelle polari, fino a raggiungere quelle intermedie.

L'ozono è una fascia dell'atmosfera posta tra i 20 e i 50 km di quota dove vengono assorbiti i raggi ultravioletti provenienti dal Sole, i quali, se arrivassero in maggiori quantità sulla superficie terrestre, sarebbero assai dannosi per l'uomo e per la vita in genere.

Erano stati i CFC (clorofluorocarburi) immessi dall'uomo nell'atmosfera a provocare reazioni chimiche tra il cloro e l'ozono (che è una molecola composta da 3 atomi di ossigeno) distruggendolo.


Poi con il Protocollo di Montreal, nel 1987, tali sostanze vennero messe al bando. Negli ultimi anni da più parti, nel mondo scientifico, si sostiene che tale iniziativa stia permettendo la ricostruzione dell'ozono atmosferico, tant'è che le previsioni sostengono che entro pochi decenni esso dovrebbe tornare a livelli che si registravano prima degli anni '70.

Ma ora un recente studio dimostra come i gas che producono l'effetto serra sul nostro pianeta interferiscono notevolmente con la ricostruzione della fascia d'ozono e quel che succederà nei prossimi anni non è del tutto chiaro. Il modello proposto da Feng Li, un ricercatore dell'atmosfera del Goddard Earth Sciences and Technology Center della Nasa, mostra come in alcune parti del pianeta l'ozono potrebbe raggiungere valori di densità superiori a quelli che vi erano decenni or sono, ma in altre e non necessariamente solo sull'Antartide, potrebbe rimanere assai ridotto.

Sarebbe dunque, più che una ricucitura, un "rappezzo" dell'atmosfera.

"Se nel modello al computer si considerano solo i composti del cloro, allora il buco nell'ozono lo si vede effettivamente ricucirsi entro pochi decenni, ma se si tiene conto di tutti i fenomeni che impattano sull'atmosfera, soprattutto dell'anidride carbonica e del metano, allora le cose non sono così semplici", ha spiegato Li, il cui studio è pubblicato si Atmospheric Chemistry and Physics.

Del fatto che dell'ozono si conosce ancora poco ne è testimonianza un'altra ricerca del British Antarctic Survey e della Nasa che è stata pubblicata sull'ultimo numero di Geophysical Research Letters. Secondo John Turner, responsabile dello studio, il buco nell'ozono avrebbe una particolare influenza sulla crescita dei ghiacci in alcune aree attorno al continenti antartico, dove numerose lingue di ghiaccio marino crescono anziché diminuire, come avviene nel resto del pianeta. "Abbiamo potuto verificare che la minor quantità di ozono degli anni scorsi ha alterato la circolazione dei venti che ruotano attorno all'Antartide e questo ha portato alcuni di essi, molto freddi, a creare le condizioni di gelo intenso al punto da impedire al ghiaccio che scende dal continente verso il mare di sciogliersi una volta raggiunta la superficie marina".

Anche di questo, dicono gli scienziati, bisognerà tener conto nel momento in cui il buco dell'ozono dovesse tornare effettivamente a richiudersi.

mercoledì 22 aprile 2009

Earth Day, un giorno per riflettere.



Earth Day, un giorno per riflettere sulla salute del pianeta

Il 22 aprile si celebra il Giorno della Terra: 24 ore per sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dell’inquinamento, sostenibilità ambientale e risorse rinnovabili. Un’occasione per riflettere sullo stato della Terra con numerose iniziative online e offline.

Non prendete impegni mercoledì 22 aprile: è l’Earth Day.

Sembra incredibile, ma sono trascorsi quasi 40 anni dalla prima volta che questa ricorrenza è stata festeggiata.

Nato nell’ambiente universitario, nel tempo il Giorno della Terra è divenuto un avvenimento di portata mondiale; 24 ore in cui cercare di sensibilizzare le persone sui temi dell’inquinamento, della biodiversità, della sostenibilità ambientale e delle risorse rinnovabili.

Numerose le iniziative in tutto il mondo per celebrare la giornata.

Mamma Terra racconta come è nata questa ricorrenza:

Il 22 aprile 1970, rispondendo ad un appello lanciato dal senatore democratico Gaylord Nelson, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una spettacolare dimostrazione a favore della salvaguardia dell’ambiente. Da quel giorno il 22 aprile è diventato la Giornata mondiale della Terra (Earth Day), un evento internazionale, oggi celebrato in 174 paesi del mondo, che ha per scopo la sensibilizzazione del pubblico sui temi della conservazione dell’ambiente in cui viviamo.

continua:
http://magazine.liquida.it/2009/04/21/earth-day-un-giorno-


http://www.youtube.com/watch?v=AbClVpgetVY

La Nasa, l'ente spaziale americano, oggi celebrerà la Giornata mondiale della Terra rendendo disponibili una serie di straordinarie immagini del pianeta riprese da bordo della Iss, la stazione spaziale internazionale orbitante. Le immagini, ad alta definizione, saranno visibili sul sito web dell'Agenzia (www.nasa.gov/ntv) o sulla sua Tv in tre fasce orarie: dalle 12 alle 15 (ora italiana), dalle 18 alle 20 e dalle 22 all'1 di giovedi). La Iss ha un'orbita situata a 354 chilometri dalla superficie della Terra ed ha a bordo un equipaggio permanente di tre astronauti. Ogni 90 minuti, la stazione effettua un giro completo attorno alla Terra e dalla Iss, ogni giorno, si possono vedere 16 albe e 16 tramonti.

sabato 18 aprile 2009

Onu: "Due gradi e mezzo in più e si inverte ciclo degli alberi".


ROMA - Se la terra si riscalderà di 2,5 gradi tra alcune decine di anni le foreste smetteranno di aiutare a ridurre le emissioni di CO2, e anzi diverranno loro stesse fonte di emissioni, cominciando a rilasciare l'anidride carbonica. E' l'allarme lanciato dall'International Union of Forest Research Organizations (IUFRO) che ha stilato un rapporto, al quale hanno partecipato 15 paesi, per stimare il rischio che corrono le foreste in diversi scenari di cambiamenti climatici. Il tema sarà al centro del Forum on Forests delle Nazioni Unite (UNFF), che si terrà dal 20 Aprile al 1 Maggio alla sede ONU di New York.

Le foreste assorbono più anidride carbonica di quanta ne emettano, ma "da qui ad alcune decine di anni, a causa dei guasti causati dal cambiamento climatico - scrive Risto Seppala, studioso dell'Istituto Finlandese di ricerche sulle foreste, tra gli autori del rapporto - le foreste potranno rilasciare grandi quantità di anidride carbonica, contribuendo ad accelerare il fenomeno piuttosto che a frenarlo".

Nonostante la deforestazione in atto in molti paesi sia responsabile del 20% delle emissioni di gas serra, per ora le foreste sono ancora un pozzo che assorbe anidride più di quanta ne emettano, ci salvano dall'inquinamento catturando più di un quarto delle emissioni globali di CO2.

I ricercatori hanno calcolato che il riscaldamento globale potrebbe far venir meno questo ruolo attivo delle foreste che, anzi, a loro volta potrebbero iniziare a contribuire negativamente sprigionando altra CO2. Secondo Seppala, l'aumento di temperatura di 2,5 gradi sarebbe sufficiente a far venir meno anche sotto altri aspetti il ruolo positivo delle foreste. Infatti queste risentirebbero di periodi di siccità sempre più frequenti e diverrebbero più vulnerabili ai parassiti e agli incendi.

Tutti questi danni, di fatto, impedirebbero alle foreste di adempiere al loro ruolo di cattura-CO2. Il rischio di perdere le foreste come pozzi di CO2, concludono gli esperti, è significativo anche se si considera lo scenario più ottimistico, in cui si riesce a moderare le emissioni stabilizzando le concentrazioni di gas serra attuali. E anche considerando gli effetti positivi dell'aumento della temperatura, che favorirebbe la crescita delle foreste boreali.

Se lo scenario che prenderà piede è quello peggiore, non riuscire a moderare le emissioni, allora la perdita delle foreste come catturatrici di CO2 è assicurata.

martedì 24 marzo 2009

Clima, i ghiacciai cambiano i confini con la Svizzera.


Per millenni la natura ha imposto la sua legge all'uomo. Poi l'uomo ha iniziato a modificare la natura, a imporre che le sue ragioni contribuissero a modificare il mondo. Spostando il corso dei fiumi, bucando le montagne, rimuovendo o costruendo intere isole. Ogni tanto la natura si vendica, e impone all'uomo di cambiare molte cose. Anche i confini tra gli Stati.

Ma siccome per cambiare i confini bisogna modificare i trattati, adesso la natura cambia le Leggi degli Stati, quelle votate dai Parlamenti.

Italia e Svizzera si preparano a cambiare i loro confini perché il riscaldamento climatico sta sciogliendo i ghiacciai. E in alta quota, se cambiano i profili dei ghiacciai, cambiano le linee che dividono uno Stato dall'altro. Tutti sanno che i ghiacciai si ritirano, si riducono: l'allarme però deve essere serio se perfino le burocrazie svizzera ed italiana chiedono ai governi di modificare i trattati che fissano i confini. Significa che la commissione tecnica mista dell'Istituto Geografico Militare di Firenze e quella della "Swisstopo", l'agenzia cartografica federale di Berna, hanno accertato che la riduzione dei ghiacciai è talmente cospicua che i confini legali non corrispondono più alla realtà. E per questo il Parlamento italiano, su proposta del ministro degli Esteri Franco Frattini, si prepara ad autorizzare la commissione mista a fare il suo lavoro di rettifica. "Una volta i confini si stabilivano con le armi, oggi con gli esperti", dice all'AdnKronos il relatore del disegno di legge Franco Narducci, deputato del Partito democratico.

Il capo dei tecnici italiani è il generale Carlo Colella, comandante dell'IGM di Firenze. "Negli Anni Settanta io cambiai un altro confine tra Italia e Svizzera, quello di Brogeda", dice l'ufficiale, "ma fu un cambiamento dovuto all'uomo, per costruire l'autostrada Como-Lugano fu deviato il corso di un torrente". Adesso sono i ghiacciai a imporre le modifiche: "Sul Plateau Rosà del Monte Cervino, sul Monte Rosa, sul Pizzo Bernina il ghiaccio è calato molto". Se il confine è sulla displuviale del ghiacciaio, quando il ghiaccio scende la displuviale sul terreno si sposta anche per decine di metri. "Con la Svizzera i confini non erano mai cambiati, praticamente sono quelli riconosciuti dalla Costituzione italiana del 1861", dice il generale Colella: "Adesso sembra tutto in movimento, tutto potrebbe essere diverso".

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lunedì 23 marzo 2009

Appennino, i torrenti inghiottiti dagli scavi dell'Alta velocità.


SAN PIERO A SIEVE - Non servono sismografi per capire dove passa il tunnel dalla Tav tra Bologna e Firenze. Basta seguire una traccia di foreste rinsecchite, alvei vuoti, macerie. Persino i cinghiali rifiutano di vivere lassù. Sopra la "grande opera" esiste una scia di "grandi disastri" che la segnala fedelmente.

L'abbiamo percorsa, verso Nord, e per capire ci è bastata la parte toscana. Il Mugello, snodo cruciale dello scavalco appenninico. I danni li hanno appena quantificati i giudici: 150 milioni di euro solo per lo smaltimento abusivo dei terreni di scavo. Poi vengono i cantieri abbandonati, le cave e le frane.

Il peggio è il sistema idrico distrutto: per ripagarlo non basterebbe una mezza finanziaria. Fra 750 milioni e un miliardo 200 milioni, per ventidue minuti di viaggio in meno. Spariti o quasi 81 torrenti, 37 sorgenti, 30 pozzi, 5 acquedotti: in tutto 100 chilometri di corsi d'acqua.

Ma le cifre non sono niente. Per farsi un'idea bisogna sentire il tanfo polveroso della montagna morta. Rifare i sentieri della Linea Gotica, tra i rovi, come in guerra. Solo che stavolta i danni non li hanno fatti i generali ma gli ingegneri, che possono essere peggio. Le ferite delle bombe si rimarginano. Queste restano per sempre. Siete avvertiti: non siamo di fronte a un evento naturale, ma a qualcosa di biblico.

Tace la valle del torrente Carzola. Niente più uccelli. La falda è precipitata di trecento metri e la montagna è sotto choc idrico. Ha piovuto tutto l'inverno, ma le conifere sono morte, le querce moribonde. C'erano salmoni, trote, gamberi: ora più nulla. Un catastrofe come il Vajont, ma alla rovescia

Polvere, silenzio. Nel canyon si spalanca una finestra di servizio. È sguarnita, potrebbero entrarci uomini e bestie. Cento metri sotto, il tunnel che ha inghiottito tutto. I tecnici ricordano quando avvenne. Esplose un getto da 400 litri al secondo a tredici atmosfere. Da allora, anche se in superficie la valle scende a Nord, le falde scaricano a Sud, verso Firenze. E del Mugello a secco chi se ne frega.

Paolo Chiarini, 30 anni, ingegnere ambientale, è cresciuto sui fiumi e, quando il Carza sparì di colpo un giorno di febbraio di 11 anni fa, fu il primo ad accorgersene. Corse in Comune ad avvertire, ma gli risposero giulivi: "Per forza, non è nevicato". Capì subito che l'unica acqua che interessava gli italiani era quella del rubinetto, e fece l'unica scelta possibile: combattere da solo.

Da allora Paolo ha battuto ogni rigagnolo e raccolto dati. Oggi ci fa da guida su questa strada partigiana. A Campomigliaio c'era la piscina naturale dei fiorentini. Poi è arrivata la talpa maledetta che ha "impattato" la falda e oggi sul greto resta solo un ridicolo cartello "Divieto pesca" e, a monte, uno scolo fognario a secco.

Il Carlone era il paradiso dei pescatori. Oggi è ingombro di bungalow dai vetri rotti, rottami, tubi, cisterne, caterpillar arrugginiti. Su un muro, la scritta "Ciao, è stato bello". Sotto, un torrente in agonia. Ma a monte è peggio. Una strada bianca in mezzo a una foresta sbiadita, fiancheggiata dai tubi che fino a ieri hanno pompato acqua per tenere in vita il torrente. Una finzione.

Sopra, una montagna di rocce intrise di asfalto collante, oli e bitumi. Quando piove, la morchia scola sulla vasca di captazione del comune di Vaglia, che raccoglie la poca acqua. Purissima, era, da imbottigliare senza filtro. Tutto quel materiale poteva essere reimpiegato nel tunnel, come in Svizzera nella galleria del Gottardo. Qui invece s'è portato tutto in superficie. E nel buco hanno portato ghiaia fresca, aprendo decine di cave inutili sul monte. Ecco perché la Tav è costata il quintuplo del previsto.

A San Piero a Sieve la ferrovia veloce esce a palla di fucile e s'infila sotto l'autodromo del Mugello. Siamo nel cuore della conca, l'Appennino perde asprezza, l'orrore diventa bucolico. Tra le fattorie il torrente Bagnone è scomparso. Poco in là, anche il Bosso. Nove anni fa le sorgenti saltarono tutte assieme, ricorda l'avvocato Marco Rossi che segue le cause civili. "Quando sparì il torrente la gente pensò che sarebbe tornato. Invece non tornò. Finita. Arrivarono le autobotti. Poi il disseccamento salì fino a Farfereto e Striano".

A Sergio Pietracito hanno fatto di tutto. Gli hanno tolto l'acqua per gli animali, fatto franare il bosco, aperto crepe in casa, semidistrutto i frutteti con le polveri, terremotato il sonno con esplosioni, ventole al massimo, bip di cicalini, fischio di allarmi, rombo di tir in retromarcia. Poi, a cantiere chiuso, gli hanno ripristinato i terreni con zolle miste a cemento, plastica e ferri arrugginiti.

Pietracito ha speso 30 mila euro in avvocati, senza aiuto degli enti locali. L'italiano è solo davanti al potente. Lui non molla, ma molti altri sono stanchi. Sanno che, più dei danni, sono i processi a mangiarti la vita. Finisce che sei tu a dover pagare. La politica cala le brache: è già tanto se i sindaci sono riusciti a farsi dare il tracciato della galleria.

Risaliamo verso il Giogo della Scarperia. Ormai è un "trek" nella devastazione. Conifere moribonde, castagni in sofferenza. Fra un mese gli animali scapperanno anche da qui. A Lugo hanno visto "i caprioli scendere a valle per bere dai sottovasi dei giardini". Non era mai successo prima del 2006, quando la Tav ha smesso di pompare acqua "finta" in quota.

Dopo il crinale, il versante del Santerno ci sbatte davanti l'ultimo sacrilegio. Sul lato della Sieve avevamo censito pozzi defunti col nome di santi e beati. Qui, nell'abbazia di Moscheta, succede di peggio. Hanno rubato l'acqua santa. La pieve, per riempire il suo secolare abbeveratoio rimasto a secco, deve farsi sparare acqua da Fiorenzuola. Sempre per quei maledetti ventidue minuti.

Oltre si spalanca un abisso dantesco, il canyon chiamato Inferno. Era il top del Mugello, segnato su tutte le guide. Trote, gamberi, muschi. Sopra, il sentiero dove un tempo Dino Campana andava a Firenze incontrando bande di musicanti e pescatori di fiume. Oggi si cammina a secco tra massi enormi e smerigliati, segno della sacra potenza uccisa dall'uomo. Chi pagherà tutto questo? Quale nazione chiederà il conto?

Il fiume infernale si butta nel Santerno, dove s'apre il cratere della colossale stazione intermedia della Tav. Intorno, la devastazione. Novanta cave. Novanta cicatrici. Ed è solo il preludio dell'ultima è più spaventosa ferita. La più lontana, la meno visibile. La condanna, esecuzione e morte del torrente Diaterna, con la doppia sorgente biforcuta sotto il Sasso di San Zanobi.

Ora si procede solo a piedi, tra ghiaie terribili, guadi algerini, qui nell'Italia di mezzo a fine inverno. Tre anni fa Chiarini vide e fotografò vasche piene di pesci putrefatti. Da allora è morte biologica. Querce cadute, polvere, vento, lucertole. Sotto, la galleria spara la sua traiettoria in un fondale umido carico di bitumi. Qui sopra, il biancore abbacinante di un greto. La frazione di Castelvecchio - sopra l'ultima finestra della Tav in terra toscana - ha perso il suo acquedotto nel '98. Ora vorrebbero costruire un invaso per compensare lo scippo.

Ma per metterci quale acqua? Con quale canalizzazione? Cementificando gli impluvi? Ricoprendoli di resine? Coprendo lo scempio con uno scempio ulteriore? La parola catastrofe non basta.
Il viaggio è finito. "Cosa ci riserva il futuro Dio solo sa" brontola Piera Ballabio, della Comunità montana del Mugello. "Con la nuova legge sulle grandi opere, i Comuni avranno ancora meno voce in capitolo. Siamo vicini a una militarizzazione del territorio. Alla faccia del federalismo".

venerdì 30 gennaio 2009

Usa, declina il fiume Colorado. Pericoli per il Grand Canyon


RAPPORTI scientifici falsificati per aggirare il parere degli esperti sui rischi ambientali. È solo l'ultimo di uno dei tanti misfatti dell'amministrazione Bush in fatto di tutela ambientale, e a farne le spese è stato questa volta un monumento naturale, il Grand Canyon. Il quotidiano americano Washington Post ha svelato che il ministero dell'Interno ha voluto ignorare, e in alcuni casi modificare, i responsi di ricerche scientifiche sulla corretta gestione delle risorse idriche del fiume Colorado. Così facendo, la fauna e l'ecosistema in generale del Grand Canyon, secondo il gruppo ambientalista Grand Canyon Trust, sono stati fortemente danneggiati.

Una disputa annosa. Le dighe su invasi che afferiscono al Colorado sono al centro di una disputa annosa. Le acque che alimentano il fiume forniscono energia idrica e il loro fluire viene regolamentato a seconda del fabbisogno di energia elettrica della zona. Se però l'apertura o chiusura delle dighe è utile per le centrali idroelettriche, non è detto lo sia altrettanto per l'ecosistema del Grand Canyon. Gli ambientalisti sostengono infatti che una regolazione dei flussi non sia naturale visto che, per sua natura, il Colorado è caratterizzato da periodi di piene e di siccità. Al contrario, le centrali elettriche richiedono un flusso quasi costante e, per risparmiare, vogliono chiudere alcune dighe durante le ore notturne, quando c'è bisogno di meno potenza.

Il piano quinquennale. Lo scorso febbraio il ministero degli Interni, che si occupa anche di gestione dell'ambiente, ha approvato un programma che prevede soltanto una piena all'anno, avvenuta nel marzo 2008, dopo la quale il Colorado avrebbe avuto un flusso regolato fino al 2012. Ogni decisione su come gestire le acque è stata quindi rimandata, sulla base dei risultati di studi costati al governo federale oltre 100 milioni di dollari. Ma questi studi, sostengono le associazioni ambientaliste, dicono chiaramente che il Colorado starebbe molto meglio con più piene occasionali e il governo ha voluto ignorarli. Al loro posto, secondo quanto sarebbe sfuggito alla dirigenza del Grand Canyon National Park, sono stati prodotti studi falsificati o incompleti, emendati delle parti contrarie agli interessi delle grandi aziende che possiedono gli impianti idroelettrici.

Gli animali vittime di Bush. Tra le vittime della politica senza scrupoli dell'amministrazione Bush ci sono dunque ora anche i Gila cypha, pesci d'acqua dolce tipici di alcuni fiumi statunitensi, oltre alle spiagge del Colorado, minacciate dall'erosione a causa della politica di gestione delle dighe. In particolare la popolazione dei pesci è oggetto di una disputa nella disputa perché il governo ha sostenuto, nel varare il piano quinquennale, che la popolazione di Gila cypha non è a rischio, mentre gli ambientalisti sostengono che i pesci dovrebbero essere inseriti negli elenchi delle specie a rischio. La fauna del Grand Canyon è solo l'ultima a essere messa in pericolo dalle scelte dell'amministrazione Bush: i salmoni furono tra le prime, specie già a rischio falcidiata dalle politiche repubblicane per la pesca e la costruzione di dighe. Inoltre, il presidente aveva tagliato i fondi alle ricerche pubbliche sulle specie in via di estinzione, ricerche che, anche quando venivano fatte, sono state spesso ignorate.

La sfida del ministro Salazar. Ken Salazar, il segretario di Stato agli Interni nominato da Barack Obama non ha voluto fare dichiarazioni sul caso specifico del Grand Canyon. Tuttavia i suoi intenti, in accordo con il programma del nuovo presidente, sono di invertire la rotta dell'amministrazione Bush e di mettere almeno sullo stesso piano gli interessi economici e quelli ambientali. "Non ci saranno più le sviste del passato", ha avuto modo di dire il ministro nei giorni scorsi, e gli ambientalisti gli hanno subito lanciato un appello: "Se vuole davvero cambiare, cominci dal suo ministero", sfidandolo a liberarsi degli impiegati e funzionari abituati a tenere in maggiore conto le ragioni degli industriali rispetto a quelle dei rapporti scientifici.