BISCEGLIE - Il pesce puzza dalla cesta. È lì dal 2005, nell'angolo in fondo a destra di questa cella frigorifera con le stalattiti sulle pareti. Il fetore stenderebbe un pinguino. "Filetti di persico africano" è scritto sulle casse di polistirolo a meno venti. Dentro, uno sull'altro, dei tranci che, al netto di tre anni di congelamento, hanno abbandonato il tradizionale colore rosa carico della carne per un meno allettante giallognolo striato di bianco. La cute è raschiata, abrasa dal tempo e dagli schiaffi del termometro. "Congelano e scongelano, congelano e scongelano. Mano a mano mischiano con il fresco, che ormai è solo un'idea, e vendono", dice l'ufficiale della Guardia costiera.
Le quattro di notte. Bisceglie, zona industriale. Le ultime sei tonnellate di pesce "pirata" le hanno sequestrate mercoledì, quaggiù nella pancia di un deposito ittico da fare invidia ai tonnari giapponesi. Una rampa, il cortile, il portone scorrevole e dentro, tra l'imbarazzo passivo dei titolari di "Zu Pietro" - è il nome della ditta, scritto con la vernice spray persino sul muro del parcheggio interno - una galleria di orrori alimentari. Alici e sgombri spagnoli hanno l'occhio pesto; il ghiaccio si è sciolto, stanno a bagnomaria nell'acqua, dentro le scatole dove l'etichetta riporta la data di scadenza: "11-12-08", e cioè, appunto, oggi. Forse le hanno tenute in vita con gli additivi chimici. Pratica sempre più comune tra i banditi del mare. C'è una chiazza rossa che spunta vicino alla parete di sinistra: no, non è carne di pesce "tirata" col monossido di carbonio (lo usano per conferire una colorazione intensa); è sangue ghiacciato, effetto della vorticosa e dannosa girandola congelamento-scongelamento.
Erano pronte per partire le alici di Zu Pietro. Puglia, Basilicata, un po' di Nord. E con loro le mazzancolle, il pesce serra, le triglie, vope e lanzarde, quei polipi anneriti e sozzi ghiacciati dentro cassette divelte. E le seppie, che a vederle ora, nella nebbiolina della cella, marroni e già decongelate, non stimolano il palato. Una tonnellata di pesce scaduto, di grande varietà (nome dell'operazione "Pesce fritto"). Scaduto tra il 2005 e il 2008. Altre cinque tonnellate di cui è impossibile ricostruire la tracciabilità, e in più conservate in celle non a norma. Tutto quanto doveva finire nei ristoranti, nelle mense, nei supermercati. Siamo a Bisceglie, ma a Chioggia o a San Benedetto, a Livorno o a Milano, fanno lo stesso.
Nell'Italia delle truffe alimentari l'oro azzurro lo mischiano, lo taroccano, lo tengono in vita o lo vendono morto. I pirati della tavola infiltrano la filiera in uno dei suoi anelli, alla fonte o alla foce non importa. Dal peschereccio al ristorante, dal mercato alla nostra tavola, quel che conta è riuscire a camuffare. Soprattutto se la roba arriva da terre lontane, dai fiumi africani, dai laghi della Cina e dell'India. Ciò che si può, se si è abili e spregiudicati, per magia diventa prodotto locale, pesce fresco del nostro Mediterraneo dalle dolci correnti.
Dice l'ammiraglio Salvatore Giuffrè, comandante della Capitaneria di porto di Bari, responsabile per tutta la Puglia: "Quando ficchiamo le mani da qualche parte, mare o terra, ormai salta sempre fuori qualcosa. I sequestri sono in continua crescita. Essendo un prodotto sempre più richiesto e non sempre alla portata di tutti, il pesce ormai è diventata la merce prediletta da sofisticatori e adulteratori".
Alla vigilia del Natale e delle grandi scorpacciate marine, conviene soffermarsi su alcuni dati certi. L'Italia è un Paese bagnato dal mare che, incredibilmente, importa il 70 per cento del pesce che consuma. Lungo gli 8mila chilometri di costa della nostra penisola, ma anche e soprattutto all'interno, nei depositi, negli stabilimenti di stoccaggio, nei mercati e negli ipermercati, si snoda un filo che parte da Mediterraneo, Adriatico e Tirreno e si allunga fino al Canada e alla Cina. E' la catena dell'industria ittica. Decine di migliaia di tonnellate di pesce bianco e azzurro, di molluschi, di crostacei che a fatica riescono a soddisfare un mercato sull'orlo dell'implosione. Sul cratere di questa voragine si affacciano gli acrobati della frode. Più di 300 tonnellate di pesce sequestrato nel 2008 (tra Guardia costiera, Nas e Guardia di Finanza); quasi 150 mila ispezioni, gran parte delle quali eseguite dalle capitanerie di porto. Sanzioni per una trentina di milioni di euro appioppate eppure al vecchio porto canale di Mazara del Vallo - prima flotta peschereccia d'Italia (300 imbarcazioni) ma un mercato ittico ancora in costruzione - l'altra notte è successo di nuovo.
Due camion frigoriferi. Niente bolle di accompagnamento, pile di cassette di sgombro importato dall'Atlantico, decongelato e spacciato per fresco; merluzzi, gamberi, triglie arrivate a fine corsa l'1 dicembre ma pronte a finire nei depositi dei commercianti. Piove, fa freddo. Arriva il veterinario dell'Asl: 1.550 euro di multa, sigilli. "I pescherecci vendono la merce direttamente ai rigattieri, che a Mazara sarebbero i commercianti. Poi loro smerciano alla grossa distribuzione, ai ristoranti, alle mense", dice Salvatore Calandrino che coordina i detective antifrode. Già, e in tavola cosa troviamo? Il problema, oltre ai prodotti scaduti, sono i taroccamenti fatti e finiti. Il pangasio, di questa vetrina, è il re. E' un pesce d'acqua dolce che vive nel delta del Mekong (Vietnam), uno dei più inquinati dell'Asia, infestato da metalli pesanti e veleni. Con 3,50 euro compri due filetti. Lo spacciano per merluzzo, addirittura per ricciola.
Dipende da come lo tagliano. A Milano e Chioggia se ne vende a quintalate. Arriva coi container dall'Asia. Viaggia assieme ai tranci di squalo delle Mauritius spacciati per pesce spada, al persico africano (nasce nel Nilo) venduto come pesce persico, al blue marlin che "diventa" anch'esso spada siciliano, al pesce ghiaccio piazzato come bianchetto (il novellame di sardina), allo squalo manzo venduto come palombo, alla platessa rifilata come sogliola. Ricarichi del trecento o quattrocento per cento. Bastimenti enormi e incontrollati che partono dal Corno d'Africa e si "perdono" nelle vie infinite dei porti di Napoli e Salerno, e che poi proseguono per Genova e Chioggia e invadono il mercato. I polpetti dell'indopacifico (valore commerciale al dettaglio 3-4 euro al kg), nei supermercati di Orbetello e Castiglione della Pescaia li vendevano come moscardini (20-25 euro al kg). Un mese fa la Guardia costiera ne ha sequestrati una tonnellata.
"E altrettanto faremo da oggi fino a Natale" promette Cosimo Nicastro dal comando generale a Roma. I polpi esotici approdavano in stabilimenti dove le etichettatrici erano manomesse, usate per realizzare codici contraffatti. Dove il pesce surgelato veniva regolarmente venduto come fresco. Come quello di Zu Pietro. Pesce per tutte le stagioni, soprattutto pesce d'aprile.
Di Paolo Berizzi.